Talk | 11.03.2019

C’è sempre una prima volta…


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Una recente sentenza del Tribunale di Roma (n. 3512/2019) ha accertato la natura illecita di link presenti su un profilo Facebook che conducevano alla visione di sequenze di immagini tratte da una serie animata trasmessa da Reti Televisive Italiane S.p.a. (RTI).

Di seguito l’antefatto.

RTI, titolare, tra gli altri, dei diritti di sfruttamento economico in esclusiva per l’Italia di una serie di cartoni animati giapponesi e della relativa sigla di apertura, ha appreso, nel febbraio 2010, dell’esistenza di un profilo Facebook sul quale, oltre ad essere pubblicati commenti offensivi nei confronti dell’interprete della sigla nonché immagini non autorizzate ritraenti la stessa, erano stati altresì caricati due link che rinviavano alla visione di sequenze di immagini tratte dal cartone animato giapponese di cui sopra.

A seguito di diverse richieste di rimozione dei contenuti, Facebook aveva provveduto solo due anni dopo la prima segnalazione ricevuta.

RTI e Valentina Ponzone, interprete della sigla, hanno quindi agito nei confronti di Facebook Inc e Facebook Ireland, davanti al Tribunale di Roma, chiedendo, tra le altre domande, che venisse accertata la violazione dei diritti esclusivi di utilizzazione economica di RTI sui contenuti audiovisivi oggetto di condivisione sulla piattaforma Facebook da parte di soggetti non autorizzati.

Facebook, oltre ad aver eccepito il difetto di giurisdizione del Giudice italiano, ha altresì escluso la propria responsabilità in quanto hosting provider passivo senza onere di controllo sui contenuti condivisi dagli utenti in forza delle previsioni di cui agli art. 16 e 17 del d.lgs. 70/03. Facebook ha altresì segnalato l’inidoneità delle diffide inviate da RTI a giustificare la rimozione dei contenuti contestati, nonché la mancanza di ordini in tal senso provenienti da pubbliche autorità.

Il Tribunale di Roma ha anzitutto rigettato l’eccezione di carenza di giurisdizione sollevata da Facebook, ritenendo applicabile il criterio del forum commissi delicti ai sensi dell’art. 5 della Convenzione di Bruxelles. In applicazione di tale principio e nel rispetto dei precedenti giurisprudenziali del medesimo tribunale nonché della giurisprudenza della Corte di Giustizia, il Giudice romano ha confermato che, con riguardo agli illeciti extracontrattuali commessi tramite internet, ai fini della giurisdizione, occorre dare rilievo “al luogo in cui il danno materialmente si consuma con la diffusione dei dati digitali nell’area di mercato ove la parte danneggiata risiede o esercita la sua attività di impresa”. Considerato che RTI esercita la propria attività di impresa a Roma, ciò è stato ritenuto essere elemento sufficiente per confermare la giurisdizione italiana e la competenza del Tribunale romano.

Nel merito, i giudici hanno anzitutto appurato che la condivisione tramite Facebook di contenuti audiovisivi di cui RTI risulta essere titolare doveva ritenersi senza dubbio illecita. Ciò in quanto tale forma non autorizzata di condivisione, rinviando a contenuti pubblicati su un sito terzo, deve essere considerata a tutti gli effetti quale comunicazione ad un pubblico nuovo, diverso da quella scelto e autorizzato da RTI, e, come tale, illecita.

Inoltre, i giudici romani hanno ritenuto che Facebook, nel caso di specie, non potesse usufruire del cosiddetto sistema di “safe harbor” che il d. lgs 70/03 riconosce agli internet service provider passivi. E infatti, l’art. 16 del richiamato decreto esclude la responsabilità del prestatore di servizi internet a condizione che lo stesso non fosse a conoscenza dell’illiceità del contenuto condiviso o che, non appena venuta a conoscenza di tale circostanza, su comunicazione delle autorità competenti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni. È sufficiente, secondo il tribunale incaricato della questione, che si verifichi anche una sola delle predette condizioni per far sì che il provider non sia esente da responsabilità.

Ciò conformemente alle conclusioni interpretative raggiunte in maniera ormai stabile dalla Corte di Giustizia Europea che, in più di un’occasione, ha ribadito l’esclusione dall’esenzione di responsabilità allorquando l’hosting provider (passivo) abbia avuto conoscenza, tramite la persona lesa o in altro modo, della natura illecita delle attività contestate e non si sia tempestivamente attivata per rimuoverle.

Nel caso di specie, l’invio da parte di RTI di diverse raccomandate di contestazione (la prima delle quali recante anche l’URL dei contenuti contestati) ha posto Facebook nella condizione di conoscere, seppure ex post, circa la natura illecita dei contenuti contestati. Pertanto, indipendentemente dalla natura attiva o passiva dell’internet service provider, il Tribunale di Roma ha ritenuto che Facebook non abbia “adottato tutte le misure ragionevolmente esigibili nel caso di specie per impedire la diffusione illecita di contenuti” e che, pertanto, debba essere considerata responsabile.


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