Insight | 31.07.2024

Il convivente di fatto è «famiglia»: l’ultima decisione della Corte Costituzionale


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Il convivente di fatto è da considerarsi un famigliare e deve, pertanto, godere delle conseguenti tutele.

Lo ha stabilito la Corte Costituzionale con la sentenza n. 148 del 2024, con la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale sia dell’art. 230-bis, III comma, c.c., nella parte in cui non contempla il “convivente di fatto” quale familiare dell’“impresa familiare”, sia dell’art. 230-ter c.c. reo di non aver garantito, sin dalla sua introduzione (nel 2016 con la c.d. legge Cirinnà), una tutela effettiva alla convivenza di fatto.

La vicenda trae origine dall’azione intrapresa dalla convivente di un uomo deceduto, la quale aveva agito in giudizio nei confronti dei figli e coeredi di quest’ultimo, chiedendo al Tribunale, in prima istanza, di accertare l’esistenza di un’impresa familiare del convivente in cui la stessa aveva prestato attività lavorativa in modo continuativo e, conseguentemente, di ottenere la liquidazione della sua quota come partecipante all’impresa stessa.

L’istanza, respinta tanto dal Giudice di primo grado quanto dalla Corte d’Appello, ha raggiunto le Sezioni Unite della Suprema Corte, dove è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale della disciplina dell’impresa familiare in riferimento, in particolare, agli articoli 2, 3, 4, 35 e 36 della Costituzione, nella parte in cui il convivente more uxorio non viene incluso nel novero dei “familiari”.

La Consulta ha accolto le questioni rilevando che la società è profondamente mutata tant’è che c’è stata un’evoluzione sia della normativa nazionale, sia della giurisprudenza costituzionale, comune ed europea, che ha riconosciuto piena dignità alla famiglia composta da conviventi di fatto. Secondo la Corte Costituzionale, infatti, “è una nozione ormai consolidata” che “la vita dei conviventi di fatto rientri nella concezione di vita “familiare”. Ne consegue, che i diritti fondamentali devono essere riconosciuti a tutti senza distinzioni: tra questi, rientrano il diritto al lavoro e alla giusta retribuzione che, nel contesto di un’impresa familiare, devono essere garantiti in egual maniera sia al coniuge, sia al convivente (sino ad oggi v’è stato un ingiustificato e discriminatorio abbassamento di protezione nei confronti del convivente di fatto). Invero, anche il convivente more uxorio si trova nella stessa situazione in cui “l’affectio maritalis fa sbiadire l’assoggettamento al potere direttivo dell’imprenditore, tipico del lavoro subordinato, e la prestazione lavorativa rischia di essere inesorabilmente attratta nell’orbita del lavoro gratuito”.

A fronte di tanto, come affermato dalla Consulta, “ai conviventi di fatto, intendendosi come tali «due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale»… vanno dunque riconosciute le stesse prerogative patrimoniali e partecipative del coniuge e della persona unita civilmente all’imprenditore”.

A questo link trovate il testo integrale della sentenza.

Senior Associate
Giovanna Basileo

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